L’ufficiale e la spia (2019)

Regia: Roman Polanski

Titolo originale: J’accuse
Nazionalità: Francia/Italia
Anno di uscita: 2019
Genere: drammatico/spionaggio/storico
Durata: 132’ 

Produzione: Légende Films, RP Productions, Eliseo Cinema, Rai Cinema
Distribuzione Italiana: 01 Distribution

TRAILER

Cast (Attori principali)
Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, François Damiens

Cast Tecnico
Soggetto:
Robert Harris (dal suo romanzo The Dreyfus Affair) Sceneggiatura: Robert Harris e Roman Polanski Regia: Roman Polanski Fotografia: Pawel Edelman Montaggio: Hervé de Luze

Distribuzione Italiana: BIM
Data di uscita: 31 ottobre 2019

Intreccio e personaggi

Nel 1894 il capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus (Louis Garrel, co-protagonista) viene accusato di alto tradimento per aver passato informazioni segrete all’impero tedesco. La condanna dell’uomo, che era innocente ma ebreo, è sancita con un processo frettoloso adducendo prove inconsistenti sulle scia del crescente clima di antisemitismo percorso tra i ranghi militari. Un anno dopo, l’ufficiale Georges Picquart (Jean Dujardin, protagonista e punto di vista) riapre il dossier in seguito alla sua nomina di capo ai servizi segreti francesi. Scoprendone l’innocenza si adopera per la liberazione scontrandosi con l’ostruzionismo delle istituzioni militari, subendo egli stesso minacce e prigionia. L’ “Affaire Dreyfus” impiegò anni per trovare giustizia causando al condannato anni di umiliazioni, deportazioni in isolamento e processi farsa e passando alla storia come il più grande scandalo militare (ma anche istituzionale, politico e sociale) della Terza Repubblica di Francia. Il 13 gennaio 1898 lo scrittore Emile Zolà firmò su L’aurore il celebre articolo intitolato J’accuse, da cui Roman Polanski ha tratto il titolo originale del suo film.

Temi

La sola scelta da parte di Polanski del’ “Affare Dreyfus” per adattarne un film comporta tematiche che intrecciano i fatti di allora con il vissuto tormentato del regista polacco, in perpetuo stato di persecuzione fin da bambino che, in quanto ebreo durante la II Guerra Mondiale, fu costretto a nascondersi e fuggire in Francia. Nel J’accuse di Polanski, quindi, si proietta con evidenza il proprio atto di accusa, ma anche una provocazione, verso sistemi corrotti, ipocriti, basati sul pregiudizio, al di là del dibattito infinito sulla condanna del regista per stupro di una minorenne. Il punto è che Roman Polanski si sente da sempre un perseguitato, un pedinato, uno “spiato” e da sempre informa il proprio cinema di tali ossessioni. Allargando lo sguardo, però, L’ufficiale e la spia è anche un’opera universale sull’ingiustizia, sui meccanismi colposi utilizzati dalle istituzioni per colpire ad hoc il singolo impossibilitato a difendersi, e dunque costretto kafkianamente a restare imprigionato in labirinti senza uscita. A meno che, come nel caso Dreyfus, un individuo virtuoso all’interno di tale meccanismo non impugni la causa del condannato. 

Linguaggio

L’adattamento in sceneggiatura che Polanski e Robert Harris hanno elaborato del romanzo di quest’ultimo, The Dreyfus Affair, è stato pensato nella forma di spy story mescolata al dramma storico con elementi di melò e di legal drama. In tale contaminazione di genere s’innerva, come sempre, lo sguardo inconfondibile del cineasta polacco a partire dall’identificazione del cinema di finzione quale dispositivo rivelatore della verità. Ne L’ufficiale e la spia Polanski adotta il rigore narrativo come stile su cui intessere un racconto cinematografico che si mette inizialmente in “osservazione” dei fatti (il film apre con poderose inquadrature di insieme dell’esercito in campo lungo con grande cura della composizione dell’immagine, attenzione estrema alla profondità di campo) per poi “avvicinarsi” all’oggetto/soggetto, stingendosi ad esso con evidente partecipazione. A quel punto anche il ritmo del film diviene incalzante, assumendo il tipico registro di spy story, della detection ai limiti del thriller. Per rappresentare il paradosso dell’istituzione raccolta contro un singolo inerme, a cui si unisce l’assunto sopra citato della finzione disvelatrice della verità, il regista sceglie di mettere in scena l’apparato giudicante come una grande farsa, un teatro di attori che recitano una parte a soggetto atta a difendere un sistema corrotto, volutamente cieco davanti all’evidenza dell’errore. A partire dalla menzogna “manifesta” si propagano gli strumenti persecutori degli innocenti che, attraverso il cartello “morte agli ebrei” in una scena esplosiva presagio della famigerata Notte dei Cristalli, alludono  chiaramente al futuro Olocausto; interessante è anche il racconto dei meccanismi di pedinamento utilizzati dai servizi segreti che, benché artigianali, contengono già la contemporanea ossessione a spezzare la cesura fra il privato e il pubblico. L’artista e l’uomo Polanski si è inoltre messo in scena, come spesso accade nei suoi film: lo si ritrova inquadrato come proiezione e sovrapposizione di soggetto/oggetto al centro dell’immagine, fra i militari di gran carriera, in uniforme decorata. In tal senso egli intende fare chiarezza sul punto di vista dicotomico dell’opera: Polanski è sia l’accusatore che l’accusato, e si cela dietro allo scrittore Emile Zola ma soprattutto al protagonista Picquard che nell’Affaire Dreyfus fu l’ufficiale a condannarlo e poi, riconoscendone l’innocenza, si adoperò per difenderla.

Scheda didattica redatta da ANNA MARIA PASETTI

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