Lo chiamavano Jeeg Robot (2015)

Regia: Gabriele Mainetti

Titolo originaleid.
Nazionalità: Italia
Anno di uscita: 2015
Genere: drammatico
Durata: 118′

IMDB
TRAILER

Cast (attori principali): Claudio Santamaria (Enzo Ceccotti), Ilenia Pastorelli (Alessia), Luca Marinelli (lo “zingaro”), Stefano Ambrogi (Sergio), Antonia Truppo (Nunzia Lo Cosimo)

Cast Tecnico:
Soggetto: Nicola Guaglianone; sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Menotti Fotografia: Michele D’Attanasio; Montaggio: Andrea Maguolo; Musica: Gabriele Mainetti, Michele Braga; Scenografia: Massimiliano Sturiale; Costumi: Mary Montalto; Suono: Valentino Giannì (presa diretta)

Produzione: Gabriele Mainetti per Goon Films, Rai Cinema
Produzione esecutiva: Jacopo Saraceni  
Distribuzione Italiana: Lucky Red
Data di uscita: 25 febbraio 2016

Intreccio e personaggi

Il protagonista è Enzo Ceccotti, un ladruncolo che abita alla periferia di Roma. Un giorno compie il furto di un orologio e, per sfuggire alla polizia che lo insegue, si nasconde sotto una chiatta ormeggiata sul Tevere, entrando così in contatto con una sostanza radioattiva che lo trasforma in un superuomo dalla forza sovrumana. Sorpreso dalla propria mutazione fisica, Enzo inizialmente decide di sfruttare i propri superpoteri per arricchirsi e compiere rapine più remunerative, ma ben presto entra in conflitto con la gang di criminali che controlla il territorio in cui vive e che è guidata dallo “Zingaro”, l’antagonista violento, senza scrupoli ed estremamente esibizionista. Lo fa per aiutare Alessia, una ragazza graziosa ma con evidenti squilibri mentali che abita nel suo stesso palazzo di Tor Bella Monaca e che, dopo averlo visto all’opera, si convince sia lui il celebre eroe dell’animazione giapponese Jeeg Robot d’acciaio. Nel frattempo lo “Zingaro” vede un video su Youtube che ritrae Enzo incappucciato mentre sradica con le mani un bancomat. Ne rimane affascinato perché immagina che, se avesse gli stessi poteri, potrebbe finalmente interrompere il rapporto con il gruppo camorristi napoletani guidato da Nunzia e dare spazio alla propria ambizione di diventare il n° 1 della malavita. Tutto ciò porta a un grande scontro finale in cui si fronteggiano le varie forze in campo e nel quale Alessia, ferita a morte, chiede a Enzo di prometterle di usare i superpoteri solo a fin di bene.

Temi

Tanto ambizioso quanto atipico per il panorama cinematografico italiano, il film d’esordio di Gabriele Mainetti se ne distingue innanzitutto perché è il primo a mettere al centro della narrazione la figura del supereroe (centrale invece nella recente produzione blockbuster americana) e a saperla calare e adattare alla realtà nostrana. A tale figura si collega direttamente il tema della mutazione fisica determinata da una sostanza radioattiva, argomento che caratterizza molta della narrazione giapponese (cinema, letteratura, fumetti) post-Hiroshima – diventata quasi un’ossessione nel post-Fukushima – e in seguito ampiamente utilizzato dai comics di matrice statunitense (Marvel soprattutto).
Non meno importanti sono poi i temi della criminalità e della periferia, che al contrario rappresentano dei veri e propri sottogeneri o filoni del cinema italiano recente. Così com’è altrettanto rilevante il tema dell’esibizionismo e della devianza a esso collegata, in relazione ai comportamenti derivati dalle nuove forme di “connessione” sociale (Youtube, i social network). Quest’ultimo è incarnato dal personaggio dello “Zingaro”, il cui vero scopo non è tanto quello di accumulare potere o ricchezza (come i suoi illustri predecessori), bensì di farsi vedere dal maggior numero di persone.

Linguaggio

Oltre a elaborare un cospicuo numero d’immagini con interventi digitali (l’utilizzo della tecnica del Green Screen e della CGI è decisamente superiore alla media dei film italiani), il film fa abilmente dialogare differenti modelli narrativi. Se infatti l’ossatura drammaturgica è di tipo “classico” – un (super)eroe diviso tra la passione per un’eroina e il conflitto con l’antagonista -, lo stile è invece di matrice postmoderna, soprattutto per la sua capacità di mescolare diverse ispirazioni (l’anime giapponese, il cinema americano dei supereroi, il noir metropolitano della recente produzione italiana) e di tradurne l’idea di spazio (collegato, continuo, senza contrapposizioni tra il centro e la periferia metropolitana). Diverso dunque dall’idea di spazio contrapposto di matrice Moderna che invece caratterizza Accattone (1961), l’esordio di P.P. Pasolini il cui incipit viene citato in apertura (entrambi i protagonisti finiscono nelle acque del Tevere, più o meno nella stessa zona). Quello di Lo chiamavano Jeeg Robot è infatti uno spazio unitario ma sull’orlo della deflagrazione, messo in crisi dalla sua stessa conformazione, in quanto il suo nucleo rischia di esplodere per effetto della rivolta prodotta dalla sua estremità (la periferia/borgata appunto).

Scheda didattica redatta da Francesco Crispino

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